18a Biennale di Architettura di Venezia, 2023

Luogo: Venezia, Italia
La Biennale di Venezia
Tutte le foto © Inexhibit

18° Biennale di architettura di Venezia, 2023

‘The Laboratory of the Future’, la 18a mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia, ha già fatto versare fiumi di inchiostro: le riflessioni di molte testate specializzate e di critici dell’architettura, pur con le dovute distinzioni, convergono nel definire questa edizione una biennale ‘senza architettura’, nella quale si fa un eccessivo ricorso a linguaggi pseudo-artistici e che manca di un approccio propositivo. Non è interessante aggiungere altro a ciò che è stato già ampiamente detto, piuttosto ci interessa segnalare quello che di buono abbiamo trovato nei padiglioni nazionali, e anche fuori dalla biennale.

I padiglioni nazionali che abbiamo apprezzato

Padiglione del Belgio “In Vivo”
In un mondo nel quale le risorse sono sempre più scarse, i curatori del padiglione – l’associazione Bento e la filosofa Vinciane Despret – presentano un’originale e provocatoria ricerca che utilizza materia organica, i funghi e la terra cruda, per la produzione di innovativi materiali da costruzione di origine organica, rinnovabili e a basso costo come alternativa ai materiali tradizionali. Il padiglione espone un grande spazio rivestito da piastrelle di micelio e terra cruda e sperimentazioni per “coltivare” una pelle di origine vegetale a partire dal micelio.

Belgio, Biennale Architettura Venezia 2023 2

Belgio, Biennale Architettura Venezia 2023 2

Padiglione belga “In Vivo”, Biennale Architettura 2023; lo spazio centrale e alcuni esempi di piastrelle di micelio; foto © Riccardo Bianchini/Inexhibit.

Padiglione della Germania “Open for maintenance”
Curato da Arch+ / Summacumfemmer / Büro Juliane Greb, il padiglione tedesco è un workshop sui materiali da costruzione e sulle loro possibilità di riutilizzo.
Allestito come un magazzino nel quale sono stati ordinatamente accatastati i materiali di scarto provenienti da 40 padiglioni della biennale d’arte dello scorso anno, lo spazio è anche, e soprattutto, un laboratorio che promuove azioni concrete di riuso dei materiali.

Germania, Biennale Architettura Venezia 2023

Germania, Biennale Architettura Venezia 2023 2

Padiglione tedesco “Open for maintenance”; il “deposito” dei materiali recuperati e lo spazio laboratorio; foto © Riccardo Bianchini/Inexhibit.

Padiglione della Svizzera “Neighbours”
Karin Sander e Philip Ursprung, i curatori a cui è stato affidato il progetto del padiglione, hanno abbattuto una parte del muro di mattoni che separava il padiglione svizzero da quello venezuelano, creando un varco e un punto di continuità. Il loro progetto mette in luce la vicinanza spaziale e progettuale tra i due padiglioni e il legame professionale fra gli architetti che li hanno progettati, Bruno Giacometti e Carlo Scarpa.

Svizzera, Biennale Architettura Venezia 2023 2

Svizzera, Biennale Architettura Venezia 2023 2

Padiglione svizzero “Neighbours”; il varco verso il padiglione venezuelano e una vista dell’interno; foto © Riccardo Bianchini/Inexhibit.

Padiglione del Giappone “Architecture: a place to be loved”
Come i padiglioni della Svizzera e dell’Austria, anche il il padiglione del Giappone – progettato nel 1956 da Takamasa Yoshizaka- si confronta con il proprio spazio. I curatori Maki Onishi e Yuki Hyakuda vogliono comunicarci che l’architettura è soprattutto un luogo da amare e di cui prendersi cura; lo fanno, allestendo nella parte superiore una mostra che racconta il progetto del padiglione, e creando luoghi di contemplazione sia al livello sottostante che nell’area verde che lo circonda.

Giappone, Biennale Architettura Venezia 2023 2

Japan, Venice Architecture Biennale 2023 Inexhibit 4

Japan, Venice Architecture Biennale 2023 Inexhibit 3

Padiglione giapponese “Architecture: a place to be loved”, immagini dell’interno e dell’allestimento nell’area esterna e un disegno originale del progetto del padiglione di Takamasa Yoshizaka; foto © Federica Lusiardi/Inexhibit.

Padiglione del Brasile “Earth”
Leone d’oro della 18 mostra internazionale di architettura, curato da Gabriela de Matos e Paulo Tavares, il padiglione del Brasile è un inno alla terra. La terra come materia (che ricopre il pavimento e forma i muretti costruiti con la tecnica del pisè) che pervade il padiglione e che impregna con il suo profumo tutto lo spazio, e la Terra come casa comune.

Affermano i curatori: “La nostra proposta si basa sul pensare al Brasile come Terra. Terra come suolo, fertilizzante, territorio. Terra in senso globale e cosmico, come pianeta e casa comune della vita, umana e non”. Sviluppato con rappresentanze di popolazioni indigene, il progetto racconta il Brasile come paese dalla grande profondità storica, mette a confronto la tradizione costruttiva degli indigeni con le forme moderniste del padiglione e contesta il mito di Brasilia come città costruita su una tabula rasa, dato che per realizzarla si è rimossa un’intera popolazione.

Brasile, Biennale Architettura Venezia 2023

Brasile, Biennale Architettura Venezia 2023

Padiglione brasiliano “Earth”, una vista generale dell’allestimento e un dettaglio dei muretti in terra pisé; foto © Riccardo Bianchini e Federica Lusiardi.

Padiglione della Turchia “Ghost Stories. The Carrier Bag Theory of Architecture”
E’ un’interessante riflessione sul riuso degli edifici abbandonati quello che si trova nel padiglione della Turchia. In Turchia l’industria delle costruzioni è alimentata dalla crescita economica e , nonostante esista una fitta rete di edifici vuoti si continua a costruire. La mostra, curata da Sevince Bayrak e Oral Göktaş, è un invito ad ascoltare le storie degli edifici fantasma, a ripensare e reinterpretare i contenitori svuotati e lasciati al degrado che, invece, potrebbero essere attori della rivitalizzazione di interi quartieri.

Turchia, Biennale Architettura Venezia 2023

Una vista complessiva della mostra nel padiglione turco alla 18a Biennale di Architettura di Venezia; foto © Riccardo Bianchini/Inexhibit.

Padiglione dell’Austria “Beteiligung”
Il tentativo di aprire il padiglione austriaco verso il quartiere di sant’Elena è purtroppo fallito. L’assetto del padiglione era stato concepito per offrire un’apertura della biennale verso la città, in modo che durante la durata della mostra, da maggio a novembre, la cittadinanza potesse accedere a una parte dei Giardini che in origine era pubblica. Il progetto, scelto da una giuria internazionale, che prevedeva la costruzione di un ponte di collegamento con Sant’Elena, non è stato sostenuto dalla Biennale e nonostante gli incontri con l’architetto referente locale, la presentazione a Venezia dei progettisti AKT & Hermann Czech è stato rifiutato.

Austria, Biennale Architettura Venezia 2023

Austria, Biennale Architettura Venezia 2023

Padiglione austriaco; una vista del padiglione con, in secondo piano, la porzione di “ponte” che è stato possibilie realizzare e un’immagine del modello di come il progetto sarebbe dovuto essere; foto © Riccardo Bianchini/Inexhibit.

Kwaeε, La piramide di legno di Adjaye Associates all’Arsenale
Nella lingua twi, una delle principali del Ghana, Kwaeε, che dà il nome al padiglione piramidale installato all’Arsenale, può essere tradotto come ‘foresta’. Progettata da Adjaye Associates, la struttura completamente realizzata in legno crea un gioco di luci e ombre simile a quello che si può percepire camminando in una foresta. Esternamente assimilabile ad un prisma triangolare, il padiglione è modellato all’interno seguendo una forma ovoidale e morbida, come una caverna. Lo spazio è pensato come un luogo che accoglie, per il riposo e per ospitare eventi.

David Adjaye, piramide nera in legno, Biennale Architettura Venezia 2023

David Adjaye, piramide nera in legno, Biennale Architettura Venezia 2023, interno

David Adjaye, piramide nera in legno, Biennale Architettura Venezia 2023, interno

Viste esterne e interne di Kwaeε, il padiglione in legno presentato da Adjaye Associates alla Biennale di Architettura di Venezia 2023; foto © Riccardo Bianchini/Inexhibit.

Il prototipo della casa minima di NFF – Norman Foster Foundation + Holcim
A Palazzo Mora, nell’ambito della mostra Time, Space, Existence, e ai giardini della Marinaressa, – dove è esposto un prototipo in sala 1.1 – è presentato il progetto di abitazione minima sviluppato da Norman Foster Foundation con la multinazionale Holcim.
Il progetto “Essential Homes Research Project” risponde alla necessità di unità abitative adeguate per i milioni di persone costrette, a causa di guerre e carestie, a vivere in campi per rifugiati.
La cellula abitativa è formata da un guscio esterno in tessuto impregnato con calcestruzzo rullabile a basso tenore di carbonio che si irrigidisce con l’acqua. Il progetto è basato su un approccio modulare incrementale, ovvero una struttura di base che può essere aggiornata e ampliata nel tempo per adeguarsi alle esigenze di evoluzione di chi la abita.

Norman Foster, prototipo casa modulare, Biennale Architettura Venezia 2023

Norman Foster, prototipo casa modulare, Biennale Architettura Venezia 2023

Norman Foster, prototipo casa modulare, Biennale Architettura Venezia 2023

Viste esterna e interna del prototipo di abitazione minima progettato dalla Norman Foster Foundation in collaborazione con Holcim e un’immagine dei materiali e del modello in mostra a Palazzo Mora nell’ambito di Time, Space, Existence; foto © Riccardo Bianchini e Federica Lusiardi.

Tropical modernism. Architecture and Power in West Africa | Modernismo tropicale: Architettura e Potere in Africa occidentale
Nelle sale d’armi dell’Arsenale la mostra Modernismo tropicale: Architettura e Potere in Africa occidentale, curata dal Victoria and Albert Museum di Londra – Christopher Turner (Lead Curator,V&A) Nana Biamah-Ofosu and Bushra Mohamed (AA) – in collaborazione con la Biennale di Venezia, ripercorre la storia del Modernismo Tropicale.
Accanto alle pubblicazioni, ai progetti e ai documenti originali la mostra presenta un interessante documentario che ricostruisce criticamente la storia di uno stile architettonico inizialmente sviluppato per sostenere il dominio coloniale, e in seguito – dopo l’indipendenza del Ghana, il primo paese dell’Africa sub-sahariana ad affrancarsi dal dominio coloniale nel 1957 – adattato dagli architetti dell’Africa occidentale.
La genesi del Modernismo Tropicale è nell’Africa occidentale britannica dove, alla fine degli anni ’40 del ‘900, gli architetti Maxwell Fry e Jane Drew diedero forma a un vero e proprio stile, il Modernismo Tropicale appunto, adattando l’estetica modernista occidentale alle condizioni calde e umide del continente africano.
Il loro linguaggio – che si basava su strategie per il controllo delle condizioni climatiche come feritoie regolabili, gronde profonde e pareti frangisole, e che rivelava un rapporto meramente superficiale con il territorio – fu propagato attraverso il Dipartimento di Architettura Tropicale, da loro fondato nel 1954 presso l’AA di Londra, istituzione nella quale i due coniugi insegnarono agli architetti europei come progettare nelle colonie.
L’architettura di Fry e Drew attirò l’interesse internazionale e fece da sfondo alla lotta anticoloniale che presto avrebbe dato i suoi frutti. La coppia di coniugi ottenne importanti commissioni, tra cui la progettazione di scuole, università, centri comunitari e biblioteche per gli africani, pagati dal Colonial Welfare and Development Act – un programma postbellico da 200 milioni di sterline finalizzato a riformare e modernizzare le colonie: un’iniziativa cinica, ideata per compensare le richieste di indipendenza e per rendere le colonie più produttive all’interno del mercato globale.

V&A, Tropical Modernism Biennale Architettura Venezia 2023

V&A, Tropical Modernism Biennale Architettura Venezia 2023

Modernismo tropicale: Architettura e Potere in Africa occidentale; due immagini dell’allestimento nelle sale d’armi dell’Arsenale di Venezia; foto Andrea Avezzù, gentilemente fornite da La Biennale di Venezia.

V&A, Tropical Modernism Biennale Architettura Venezia 2023

Foto © Federica Lusiardi.


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